Roberto Citran
Roberto Citran
L’incontro con Roberto Citran avviene a Padova pochi minuti prima che partecipi alla presentazione dell’ultimo film da lui interpretato. Con una certa emozione lo avvicino, mi presento e riesco ad ottenere, senza difficoltà, la sua disponibilità a prestarsi ad un breve intervista. Abitando noi in città distanti fra di loro, l’intervista si basa si una serie di domanda che inoltro a Roberto Citran via posta elettronica, alle quali risponde, a sua volta, per iscritto.
Roberto Citran è il primo ex studente del Calvi, divenuto attore di cinema e di teatro, che ho potuto intervistare, ma non l’unico, come potrà verificare chi vorrà scorrere le altre interviste.
In quali anni ha frequentato l’Istituto Calvi? Quali furono i motivi che La spinsero a scegliere questa scuola?
Tra il 1969 e il 1974 e se devo dirla tutta furono i miei genitori a scegliere la scuola, erano anni in cui si pensava che il “diploma” fosse la soluzione per un futuro sicuro, senza incertezze. Io volevo iscrivermi al Liceo Scientifico, ma in casa mia il Liceo veniva visto e vissuto come un’incognita. Stessa sorte avevano subito i miei fratelli e io non potevo fare eccezione.
Quali sono i ricordi degli anni passati al Calvi che conserva?
Ho qualche difficoltà a rispondere a questa domanda, per diversi motivi. Innanzitutto per i problemi legati all’età. Tra i 14 e i 19 anni subisci continui cambiamenti. Ti iscrivi al primo anno che sei
un bambino ed esci che sei un adulto. E nel mezzo succedono tante cose. I primi innamoramenti, gli insegnanti non più protettivi come alle medie, l’attività politica che comincia a prendere spazio. Poi di classe in classe mi son reso conto che dovevo uscire alla svelta da quella scuola; nulla mi corrispondeva, anche se, a conti fatti, ho fatto di tutto per rallentarne l’uscita, visto che sono stato bocciato due volte, recuperando un anno nel purgatorio di una scuola privata, e sorvolo il ricordo in quest’ultima: pessima esperienza.
Com’era composta la sua classe? Com’era la classe docente del tempo e quale impegno richiedeva lo studio delle varie discipline?
A causa delle due bocciature ho cambiato sezione, e quindi compagni di classe, diverse volte. Se non ricordo male ho iniziato nel corso “G”, passando per il corso ”H” per finire in corso “D”. Le classi erano numerose e sempre miste e questo ovviamente fungeva da forte stimolo per noi maschi. Noi facevamo divertire le “femmine” e in compenso ci aiutavano a fare i “compiti”. C’era poco da fare, le migliori erano sempre loro.
Il rapporto coi docenti variava dalla loro capacità di tenere una classe. Appena vedevamo un varco ne approfittavamo. Opponevamo una sorta di “resistenza studentesca”, dove per resistenza si intende un rifiuto a ciò che la scuola propone, nel bene e nel male. Per contro c’erano insegnanti che esprimevano la loro autorevolezza solo nel modo in cui entravano in classe. Mi ricordo una prof. di matematica in particolare. Varcava la soglia con passo spedito: registro sotto braccio e sigaretta in bocca, aveva una voce roca, tipica dei fumatori. Durante la lezione non volava una mosca.
Ci sono stati docenti di cui ha un ricordo positivo o negativo?
Il ruolo dell’insegnante è quello di trasmettere il piacere del sapere. (L’ho capito dopo anni, soprattutto dopo aver sposato un’insegnante di lettere). Onestamente non sono mai riuscito ad appassionarmi a materie come Ragioneria, Tecnica o Diritto. Ma non credo fosse colpa degli insegnanti, credo sia umanamente impossibile o quanto meno molto difficile per un ragazzo di sedici anni trovare interesse nella partita doppia. Ricordo però con piacere il mio professore di Italiano e Storia, di cui cito volentieri il nome: il Prof. Giorgio Tinazzi, che rivedo ancora volentieri quando capito a Padova. Una mattina propose una ”relazione” su un film di Godard, il padre della Nouvelle Vague, film che avevano trasmesso in televisione pochi giorni prima, il titolo era “Fino all’ultimo respiro” con Jean Paul Belmondo e Jean Seberg. Si trattava di fare una ricerca e parlarne ai compagni. Alzai la mano e mi impegnai di realizzarla entro una settimana. Di questo episodio ho un ricordo piacevole. Non so se la mia passione per il cinema sia nata da questa esperienza, ma sicuramente ha contribuito ad alimentarla. Tutt’oggi mi ritengo fortunato ad aver avuto, anche solo per un anno, come docente il Prof. Tinazzi. Ricordo che preso dall’entusiasmo un paio di settimane dopo preparai per la lezione di Inglese una “relazione” sui Beatles.
Per rispondere alla seconda parte della domanda, non me la sento di accusare nessun docente. Anzi se ne avessi la possibilità, chiederei loro scusa per alcuni comportamenti, spesso infantili e anche un po’ arroganti.
Secondo Lei quali aspetti critici presentava la scuola dell’epoca e in particolare il Calvi?
Era un periodo di grandi cambiamenti. Il ’68 era appena alle spalle e ricordo la trasformazione di alcuni compagni di scuola. Che andava dall’abbigliamento, al portare i capelli lunghi, dal linguaggio che usavano nelle prime assemblee d’Istituto. Vi era il tentativo di innovare il sistema scolastico. Con l’introduzione delle interrogazioni programmate, cambiando la disposizione dei banchi per colmare la distanza fisica tra insegnante e studenti, affrontando nuovi argomenti da trattare durante le lezioni. E questo non accadeva solo durante le ore di lettere, ma anche con insegnanti di altre materie. Ricordo che per l’ora di Religione proposi, come tema di discussione, una Relazione sull’omosessualità, citando personaggi celebri e la loro difficoltà di vivere in una società che emarginava gli omosessuali. La cosa che mi stupì molto, e di questo ho un ricordo vivido, fu che qualche compagno di classe sosteneva fosse una malattia. In sostanza eravamo inadeguati pure noi. Avveniva tutto così velocemente che eravamo spiazzati, impreparati sia noi che gli insegnanti e questo credo fosse un problema di molte scuole non solo del Calvi. …
Quali studi ha intrapreso dopo il diploma?
Mi sono iscritto alla Facoltà di Psicologia. Anche qui il percorso è stato lungo. Dopo aver mantenuto una discreta media mi sono bloccato a tre esami dalla fine. Diciamo che non sono mai stato un velocista ma un fondista, l’importante è non perdersi mai d’animo. Mi sono laureato a 35 anni e alla discussione della tesi era presente anche mia figlia …
Lei è noto per essere un attore teatrale e di cinema. Questa passione, divenuta professione, era già presente nel periodo scolastico? C’era un gruppo teatrale all’interno del Calvi? Chi o che cosa ha determinato la scelta di dedicarsi professionalmente alla carriera rompendo, in un certo qual modo con l’indirizzo di studi economico-giuridici che aveva intrapreso?
All’interno della scuola non c’era nessun gruppo teatrale, o almeno non mi risulta. Eravamo attori tutti i giorni. Forti di un discreto esibizionismo io e i miei compagni di classe inventavamo sketch in continuazione, ci producevamo in numeri comici che proponevamo ai colleghi. Quella è un’età in cui la creatività va a mille, e tutto basato sul “cazzeggio”. Di quei momenti ho un bel ricordo, e con quei compagni ho mantenuto un legame vivo ancora oggi.
La scelta del mestiere di attore è arrivata abbastanza tardi sui 24/25 anni. Ottenuto il diploma feci un viaggio in India, poi cominciai a collaborare con Carlo Mazzacurati e Enzo Monteleone al Cinema
1 (il Cineclub dell’Università). E sempre insieme a loro realizzammo un film totalmente autoprodotto: “Vagabondi” per la regia di Carlo. Era il ’79. Ero aiuto regista, e poi per mancanza di attori coprivo due ruoli in due scene diverse, una con i baffi, e leggermente di spalle, e l’altra senza baffi e con la giacca di pelle nera. Poi insieme a Vasco Mirandola abbiamo intrapreso la strada del cabaret, il teatro di strada (giravamo al cappello), poi è arrivata la televisione e i primi soldi guadagnati facendo l’attore. Non ero ancora convinto, ma stava diventando un lavoro. Per contro non ho mai pensato di fare il ragioniere, avrei fatto fallire chiunque, anche una ditta a conduzione familiare.
Fino ai primi anni Settanta studentesse e studenti del nostro Istituto davano vita ad uno spettacolo/varietà che veniva ogni anno messo in scena di fronte agli studenti. Era coinvolto anche lei in prima persona nello spettacolo? Che ricordi ha di quella iniziativa?
Lo show del Calvi era molto atteso e seguito a livello cittadino. Venivano a vederlo anche studenti di altri istituti. Si teneva al Supercinema e il teatro era strapieno, se non ricordo male erano presenti anche 1500 studenti. Nei primi due, tre anni partecipai come spettatore. E diciamo che l’impostazione era sempre la stessa. C’erano le ragazze di quarta e quinta che preparavano dei balletti con tanto di coreografie, seguivano le imitazioni, le parodie su alcuni insegnanti, vittime designate, qualche battuta sul preside e ovviamente musica.
Presi da un bisogno di protagonismo, io e altri tre (ho ancora le foto) decidemmo di proporre le canzoni de “I Gufi” un gruppo di cabaret milanese considerato allora trasgressivo. Oltre a me (alla chitarra) il quartetto era composto da Gica (chitarra), Jack (vocalist) e un certo Sirio (tastierista), che era piuttosto stonato, ma riuscimmo a tenerlo lontano dai microfoni. Dopo una settimana di prove debuttammo allo Show, fu un successo, non so come, ma fummo accolti benissimo. Questo contribuì ad aumentare la nostra autostima tanto che ci riproponemmo anche l’anno successivo.
Conosce qualche altro ex studente del Calvi che si sia dedicato all’attività teatrale, sia a livello amatoriale, sia a livello professionistico?
A livello amatoriale francamente non lo so, mentre sia Giancarlo Previati (Il Gica del quartetto di cui sopra) che Maria Grazia Mandruzzato hanno intrapreso la carriera dell’attore a livello professionistico. Con Gica sono stato in classe per almeno quattro anni, con Grazia credo solo un paio. Sono bravissimi entrambi; Gica ha lavorato molto con l’Elfo di Milano, con lo Stabile del Veneto e in molte fiction. Grazia ha lavorato con Ronconi, Thierry Salmon (col quale ha vinto un Ubu) e negli ultimi anni anche nel cinema. Anzi forse Grazia è stata la prima fra noi tre a dedicarsi all’arte dell’attore. Ci sentiamo spesso e con grande affetto.