Carla

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Carla non avrebbe voluto frequentare l’istituto Calvi, come spiega proprio all’inizio del suo racconto, ma ha saputo cogliere anche da questa esperienza valori che le hanno permesso, assieme ad una innegabile forza di volontà, di modificare il destino di chi, come lei, si è trovato a dover percorrere una strada tracciata da altri e di affrontare nuove esperienze e nuove sfide che arricchiscono la vita di una persona.

Carla ci insegna come anche dalle esperienze che inizialmente appaiono negative si possano trarre degli insegnamenti che possono portare frutti nel corso della vita.

Cominciamo dall’inizio. Perché il Calvi?

A questa domanda Carla ride e il motivo me lo spiega subito:

Al temine delle medie (inizio anni Settanta) dai miei insegnanti avevo avuto l’indicazione di proseguire con studi classici o artistici. Con molto orgoglio proposi a mio padre l’iscrizione al liceo classico per poi laurearmi in Giurisprudenza. Fra l’altro, avevo appena vinto una borsa di studio bandita da una banca e con quei soldi avrei potuto pagarmi le spese scolastiche del liceo. Mio padre sgranò gli occhi e mi diede una risposta che mi spiazzò: - “In primo luogo dovresti sapere che la

famiglia non ha le risorse per sostenere una frequenza all’università, in ogni caso poi è evidente che per una figlia femmina non si possa investire in cultura, sarebbe un brutto investimento dato che il suo destino è il matrimonio e la maternità. Cara figlia non ci penso proprio a farti fare il liceo: lo dico anche nel tuo interesse perché finisce che studi tanto e poi non metti a frutto nulla. Ricordati però sempre queste mie parole: non metterti mai in nessun caso nella condizione di dipendere economicamente da un uomo; quindi trovati un lavoro e cerca di tenertelo perché nella vita non si sa mai…...Per raggiungere questo obiettivo l’unica scuola che ho identificato è Ragioneria, ho deciso quindi che tu ti iscriverai a Ragioneria o in alternativa a Ragioneria”.

Poche parole che non ammettevano replica e che hanno mi hanno colpito per l’aspetto duale di questa sua decisione: da una parte emergeva la mera presa d’atto di una società maschilista che rendeva secondo lui inutile per donna investire in studi universitari anche se a lei congeniali, dall’altra però un aspetto innegabilmente progressista nel sostenere la necessità per una donna di essere economicamente autonoma per affrontare la vita.

Mio padre era un artigiano e aveva il mito della figura ragioniere come persona a cui affidare con fiducia tutti gli aspetti contabili e fiscali, in sostanza si trattava di una figura che secondo lui ben rappresentava i requisiti di onorabilità sociale che sarebbe stato orgoglioso di vedere riconosciuti ad una figlia.

Superato il trauma, come valuti questi anni trascorsi al Calvi?

Posso esprimere due diversi tipi di valutazione, la prima in itinere durante il percorso scolastico e la seconda in merito al percorso professionale post diploma.

Per quanto riguarda la valutazione in itinere, posso dire di non aver avuto problemi nel biennio godendo di una buona preparazione di base, ma dal terzo anno l’introduzione delle materie professionalizzanti mi ha messo davvero in crisi. Insieme a diversi compagni ci eravamo spostati fuori dalla sede centrale, alla sezione Commercio estero, che prevedeva un aumento delle ore curriculari per l’inserimento di materie aggiuntive e insegnanti molto esigenti. Il mio difficile rapporto con la matematica rafforzò l’idea che quella non fosse la scuola per me. Per questo appena fu possibile approfittai dell’abbassamento a diciotto anni della maggiore età e cominciai a firmare i permessi di uscita. A fronte delle lezioni a me ostiche uscivo da scuola per frequentare i corsi di psicologia all’Università, forse proprio per chiarire a me stessa cosa fare nel futuro. Giurisprudenza era da escludere in mancanza di studi classici, e mi rammaricavo del fatto di aver anche frequentato i corsi facoltativi di latino in terza media per raggiungere il mio obiettivo.

Ben presto però dovetti ammettere che questo comportamento causava un drastico calo del mio rendimento scolastico e decisi di riprendere la frequenza regolare per conseguire almeno il diploma.

Cosa hai fatto una volta conseguito il diploma?

Ricordo di aver sostenuto l’orale a fine luglio, ultima candidata di tutto l’Istituto e di aver iniziato nel settembre successivo un apprendistato contabile presso una ditta privata. A gennaio dell’’anno successivo sono stata assunta regolarmente da un’altra società. Tuttavia non avevo ancora abbandonato l’idea di conseguire una laurea e la scelta cadde sulla Facoltà di Scienze politiche, che allora offriva corsi specifici per studenti lavoratori, naturalmente scelsi l’indirizzo Amministrativo che prevedeva molti esami di materie giuridiche.

Il lavoro non mi piaceva, ma mi garantiva un reddito. Devo anche riconoscere che gli studi di ragioneria ed il lavoro mi hanno consentito, nel tempo, di acquisire una propensione alla resilienza ed al problem solving: ho imparato a trovare sempre una opportunità nelle difficoltà e a risolvere i problemi che via via incontravo.

Nel frattempo mi sposai ed ebbi primo figlio. A quel punto entrai in crisi e cominciai a pensare che forse mio padre non avesse avuto tutti i torti....

Venni a sapere per caso che l’Università di Padova aveva bandito un concorso per l’assunzione di undici ragionieri e decisi di partecipare, anche perché mi avevano appena comunicato l’imminenza del trasferimento lavorativo a Udine. Superato il concorso cominciai la mia attività presso l’Ufficio Ragioneria centrale, poco dopo ebbi l’opportunità di partecipare alla sperimentazione dipartimentale nelle università, che prevedeva il decentramento delle funzioni amministrative e contabili ai Dipartimenti. Mi occupai dell’organizzazione amministrativa del Dipartimento di Geografia, che stava nascendo dalla fusione di tre Istituti fin ad allora distinti, per costruire il nuovo assetto per l’organizzazione del personale, la contabilità ed il bilancio.

Ѐ stato un periodo faticoso ma anche esaltante perché mi ha permesso di mettere a frutto quanto avevo imparato al Calvi. Ho avuto la grande soddisfazione di avere avuto una relazione molto positiva dai revisori dei conti, che al termine della prima visita in Ateneo hanno indicato il Dipartimento di Geografia come modello organizzativo da seguire per gli altri Dipartimenti che stavano per essere creati o che erano appena stati creati. Nonostante non mi sentissi portata agli studi economici emerse in me una decisa propensione ad affrontare le sfide, e considerai una vera fortuna l’opportunità che mi era capitata.

Quindi il tuo giudizio sul Calvi si può considerare positivo?

Come dicevo prima, accanto al giudizio in itinere che ho già espresso, c’è da considerare un giudizio a posteriori: devo confermare che il Calvi mi ha dato gli strumenti per affrontare la vita ed il lavoro, la forma mentis per affrontare i problemi che mi sono trovata di fronte.

Fin dall’inizio della frequenza ho dovuto trovare una soluzione per affrontare una strada che non era stata tracciata da me, posso serenamente esprimere un giudizio positivo complessivo sulla mia esperienza al Calvi.

Nel frattempo ti eri laureata in Scienze politiche?

Non ancora. Anzi, stavo per abbandonare gli studi perché famiglia e lavoro mi occupavano tantissimo. Proprio il giorno in cui stavo per recarmi in segreteria per formalizzare la rinuncia incontrai una collega, anche lei iscritta a Scienze politiche, che mi convinse a non desistere e mi propose di preparare assieme gli esami che mancavano. Così nel giro di due anni completammo entrambe gli studi e mi laureai con una tesi in Diritto costituzionale.

Poi arriva la seconda laurea, quella in Giurisprudenza……

Poco dopo nacque il mio secondo figlio e in quell’anno la mia collega, ormai divenuta amica, si era iscritta a Giurisprudenza, a Padova. Io inizialmente non me la sentivo, visti gli impegni familiari accresciuti. Tuttavia il desiderio di conseguire la laurea che fin dalla terza media sognavo, mi portò ad iscrivermi appena possibile. L’inizio fu traumatico perché la facoltà di Giurisprudenza non ci

riconosceva alcuni esami, sostenuti a Scienze politiche sugli stessi testi in uso a Giurisprudenza, fra cui Diritto privato, costituzionale e amministrativo: non proprio esami fra i più facili…….

Andai in crisi quando dovetti sostenere l’esame di Diritto processuale civile, il cui esito negativo mi aveva fatto pensare di rinunciare a studiare. Sempre con il supporto della mia amica decidemmo di trasferirci di Università e completammo gli studi.

Anche dopo la laurea in Giurisprudenza, così come dopo aver conseguito quella in Scienze politiche, andai in cimitero a portare sulla tomba di mio papà una foglia della rituale corona di alloro.

E nel frattempo una nuova esperienza.….

Prima della seconda laurea ricevetti l’incarico da parte dell’Ateneo di occuparmi anche dello start up amministrativo e organizzativo di un nuovo centro di ricerca, si trattava del braccio operativo della Fondazione per la Ricerca Biomedica, di cui faceva parte anche l’Università. La fondazione si era occupata della ristrutturazione dei locali che sarebbero stati occupati dall’Istituto Veneto di Medicina Molecolare - VIMM, e si trattava di organizzare tutta la struttura contabile ed organizzativa. Era il 2001 ed era appena rientrata dalla Svizzera la prof.ssa Antonella Viola, che in qualità di ricercatrice dell’Università di Padova fu la prima ad utilizzare il laboratorio. L’idea di fondo era quella di mettere insieme la ricerca di base con la ricerca clinica: ciò comportava il doversi interfacciare con i docenti universitari delle varie discipline mediche e consentiva ai ricercatori di aver riscontri clinici concreti per le loro attività di laboratorio.

Dal punto di vista logistico il VIMM rappresentò una innovazione per l’epoca perché tutti i laboratori erano open space e c’erano delle aree in cui i ricercatori potevano studiare, rifocillarsi, discutere, scambiarsi esperienze.

Ѐ stata una sfida entusiasmante, che mi ha dato molte soddisfazioni, ed è durata fino al 2011 quando ormai il lavoro innovativo era finito ed era subentrata una routine anche dal punto di vista organizzativo. La struttura era cresciuta moltissimo, coinvolgeva ormai stabilmente 150 ricercatori e un flusso continuo di giovani ricercatori da e per l’estero, non avrei potuto continuare ad occuparmene mantenendo il mio ruolo al Dipartimento di Geografia.

Ultimo approdo: il dottorato di ricerca

L’essere stata a contatto con chi faceva ricerca scientifica in ambito biomedico aveva stimolato in me una riflessione sui diritti e la salute. Da tempo pensavo che mi sarebbe piaciuto proseguire con gli studi e di questo parlavo spesso con la mia amica assieme alla quale che mi ero laureata in Giurisprudenza. Così, seguendo il consiglio della docente di Diritto costituzionale con cui mi ero laureata, scoprii che in alcune Università i dipendenti pubblici potevano accedere al dottorato di ricerca in soprannumero: questo avrebbe fatto cadere la remora di andare ad occupare un posto che poteva essere destinato a giovani laureati. Sostenemmo le prove e fummo ammesse al dottorato in “Istituzioni politiche comparate” che vedeva coinvolti docenti di Scienze politiche e di Giurisprudenza. Io mi occupai di Diritto alla Salute e libertà di cura, mentre la mia amica e collega dei Diritti delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Al rientro in servizio ebbi l’opportunità di collaborare con Centro di Ateneo per la disabilità e l’inclusione, dove ho contribuito ad integrare competenze socio - giuridiche e a costruire nuovi rapporti con il terzo settore e con il territorio nei campi della disabilità e dell’inclusione, nell’ambito della Terza missione dell’Università.

In conclusione, posso dire che tu sei portata alle sfide? Mi riferisco alle sfide personali sia perché hai cercato e sei riuscita a cambiare le scelte fatte da altri (mi riferisco a tuo padre), sia perché nel corso della tua vista lavorativa non ti sei accontentata di seguire un percorso tranquillo, ma hai accettato, o forse cercato, sempre nuovi stimoli, per cui puoi dire di aver dato un contribuito creativo.

Posso dire di aver sempre creduto nel ruolo dello studio come fondamentale per cogliere le opportunità che la vita mi ha offerto e sentirmi parte attiva nella creazione di un futuro migliore per tutti, per una società più inclusiva, sostenibile ed equa.

Stiamo per congedarci, ma Carla tira fuori, come un coniglio dal cilindro, una esperienza recente che mette in luce il suo amore per quanto ha potuto imparare nel corso della sua vita lavorativa e di studio e il suo legame, mai dissolto, con il Calvi. Qualche anno fa chi la sta intervistando l’aveva invitata a fare una lezione in classe sul diritto alla salute.

Ѐ stata una bella esperienza poter ritornare al Calvi e poter dare agli studenti un piccolo contributo ricavato dal mio interesse per il tema della salute e della disabilità. Un modo per sdebitarmi con il Calvi per quanto mi ha dato.

Grazie Carla!