Annalisa

Annalisa

Ritrovare Annalisa dopo quasi cinquant’anni e scoprirsi a riprendere un dialogo come se fosse stato interrotto il giorno prima è la prima bella sorpresa che ci viene offerta da questo incontro; ciò conferma l’idea che ho sempre coltivato: le relazioni che si costruiscono durante gli anni della scuola superiore sono, in fondo, quelle più durature. Con Annalisa abbiamo condiviso solo due anni nella stessa classe e poi abbiamo scelto indirizzi diversi all’interno dell’Istituto “P. F: Calvi”.

Quando sale in auto per recarci da un’altra nostra compagna di classe, che ci ospiterà per l’intervista, inizia subito a raccontarmi della sua trentennale esperienza in terra d’Africa, senza alcuna sollecitazione da parte mia. Una volta raggiunta la casa della nostra ospite e accomodatici davanti ad una tazza di cioccolata capisco subito che non sarà una classica intervista con domande e risposte, ma che mi troverò di fronte ad una cascata di racconti che si intrecciano, di ricordi che si accavallano, di emozioni che esplodono. Una narrazione che travalica ogni confine temporale e spaziale, ricca di iridescenze tematiche.

Dopo oltre un’ora e mezzo di conversazione, durante la quale pochissimi sono stati i miei interventi, mi rendo conto che il materiale raccolto potrebbe servire per scrivere un libro, non una singola intervista. Lo spaziare da un tema ad un altro, tipico della mia interlocutrice, senza però che ciò abbia avuto come esito un racconto dispersivo, mi induce, una volta riascoltata la registrazione, a suddividere per argomenti il materiale raccolto.

Gli anni all’Istituto “P. F. Calvi”

Quali sono state le tue motivazioni che ti hanno indotto a frequentare il Calvi? Quale era la tua prospettiva quando ti sei iscritta?

Bisogna dire la verità, bisogna essere sinceri. Non giriamoci intorno (lo dice sorridendo): la scelta della scuola è stata fatta dalla mia famiglia. Ero la quarta di nove fratelli.

Una volta diplomata ho fatto un concorso per entrare nei servizi amministrativi dell’Università e ho iniziato a lavorare. Ricordo, in particolare, che ho cominciato la creazione del Dipartimento di Sociologia e che per un anno ho sostituito una collega per cui seguivo anche il Dipartimento di Scienze statistiche.

Mentre ero al Calvi ho fatto parte del Consiglio di Istituto e mi ricordo che un giorno il Preside Fede mi chiamò in presidenza e mi disse che aveva deciso di destinare una somma del bilancio dell’Istituto agli studenti e che avremmo dovuto decidere noi come spenderla a favore degli studenti. È stato un atto di fiducia che non mi aspettavo. Ricordo con piacere la professoressa Igea Vescovi di Ragioneria, che mi sosteneva sempre nella mia attività di rappresentante di Istituto, e il professor Zaninello di Matematica col suo “illustrissima”.

Che eredità ti ha lasciato il Calvi?

Il Calvi mi ha insegnato principalmente a lottare sempre per liberare dalla schiavitù materiale e spirituale e il coraggio di dire la verità. Il Calvi non mi ha dato solo la forma mentis di come tenere i conti, l’ordine e la precisione, la capacità di trasmettere ad altri i dati, ma mi ha anche insegnato ad essere trasparente in quello che faccio, in modo che tutti possano prendere visione e valutare (e non parlo solo dal punto di vista contabile); mi ha trasmesso il rispetto delle opinioni altrui, anche se potevano essere assolutamente opposte; mi ha aiutato nella relazione e il confronto con gli altri studenti e con i docenti. Ho trovato delle amicizie e voi ne siete gli esempi.

Quando c’è sincerità nei rapporti interpersonali si possono avere anche idee diverse, ma questo non costituisce un problema purché ci sia rispetto reciproco e a condizione che tutti siano animati dalla voglia di costruire qualcosa, non di distruggere o semplicemente di ostacolare l’altro.

Dopo il diploma. L’attività di missionaria.

Cosa hai fatto una volta conseguito il diploma?

Come ho anticipato, dopo la terza media la scelta è caduta sul Calvi perché avevo bisogno di un diploma che mi consentisse un accesso al mondo del lavoro senza passare per l’Università.

Contemporaneamente al lavoro, ero impegnata politicamente con la Democrazia Cristiana e quando ero responsabile provinciale dei giovani della D.C. mi avevano assegnato il settore dei ragazzi disabili e con problemi di droga e così ho potuto venire a contatto con situazioni davvero drammatiche.

L’attività politica mi aveva consentito di venire a contatto anche con le varie realtà missionarie esistenti nella Provincia di Padova; infatti, avevo organizzato una manifestazione, durata una settimana, al palazzo della Gran Guardia, coinvolgendo Mons. Nervo, allora responsabile della Caritas nazionale, il Sig. Zoni responsabile di Mani Tese e tutte le organizzazioni missionarie locali. Lasciai la politica poiché capii che non era là che potevo realizzare i desideri di libertà e giustizia per

il bene di tutti. Approfittai dei contatti che avevo preso con le realtà missionarie, poiché avevo visto in loro questo enorme prato fiorito di carismi che servivano per il bene di tantissime persone sparse nelle periferie del mondo che non avevano nulla, neppure la voce per farsi sentire.

Mi posi la domanda: “Perché non posso andare anch’io?” “Forse è la volontà di Dio, mi aiuterà”. Parlai con Mons. Gregori Direttore dell’Ufficio Missionario Diocesano e poi con Mons. Mattiazzo, all’epoca Vescovo di Padova, ebbero fiducia in me e dopo un periodo di formazione per prepararmi, il Vescovo mi inviò in Missione in Africa come Missionaria Fidei Donum. In questo ruolo sono rimasta vent’anni e poi mi fecero ritornare a Padova perché i missionari Fidei Donum sono “prestati” da una Diocesi ad un’altra per un periodo di tempo e poi rientrano, cosa che io feci in obbedienza.

Per Grazia di Dio, il mio anelito di servire i più poveri trovò modo di realizzarsi ancora grazie all’invito del Vescovo di Bondoukou Mons. Félix Kouadio, nel nord-est della Costa d’Avorio, che aveva apprezzato come avevo operato negli anni precedenti.

Inizialmente c’erano delle care amiche e mamme della Parrocchia di Santa Giustina che mi mandavano delle donazioni; in un secondo momento, sempre presso la mia Parrocchia è nata l’ONLUS “Oltre l’Orizzonte” che fino ad oggi continua con gioia, perseveranza e dedizione a contribuire e sostenere non solo me ma anche tutte le attività delle varie Missioni dove mi inviano. Devo anche dire che ci sono molti altri amici di altre Parrocchie che mi aiutano chi con donazioni, chi con la preghiera: monaci, monache, anziani e malati, ora anche della Costa d’Avorio. La Diocesi africana non ha i mezzi economici per aiutarmi, per il momento, non li ha neppure per i suoi sacerdoti!

In quali luoghi dell’Africa hai prestato il tuo servizio?

Sono stata principalmente in Costa d’Avorio (Daloa, Bondoukou, Bouna, Téhini, Tambi), ma anche in Togo, Nord-Sudan, in Burundi poco dopo il genocidio, allo scopo di ricostituire un centro giovanile nella diocesi di Gitega. Purtroppo rimasi poco perché ho avuto varie malattie (tifo, malaria). Ricordo però di aver respirato “odio” fra le due etnie, Hutu e Tutsi, come mai mi era successo prima; ma sono stata edificata nel conoscere famiglie cristiane che hanno fatto scelte veramente coraggiose pur di salvare delle vite umane.

In Costa d’Avorio sono stata soprattutto nel Grand Nord-Est, in una zona isolata, a cinque ore di viaggio dalla sede del Vescovo e a 700 chilometri dall’aeroporto. Bisogna tener presente che non ci sono sempre strade, ma piste nella savana. In molte zone non ci sono energia elettrica, acqua potabile, servizi sanitari, scuole, tanto meno internet.

Ma il 13 gennaio 2020, alle cinque del pomeriggio, mi chiamano da Bondoukou due dei nostri responsabili dicendomi che dovevo andarmene di corsa perché i Jihadisti stavano venendo a prendermi. Da qualche tempo mi ero accorta che venivano al nostro dispensario per avere medicine giovani che parlavano inglese, mentre la Costa d’Avorio è francofona. La mattina successiva alle cinque arrivano tre gendarmi, mandati dal Prefetto, armati di tutto punto, mi invitano a camuffarmi e mi scortano per circa cento chilometri. Dopo avrei potuto proseguire da sola poiché la zona era più sicura. Si pensava che fosse una cosa temporanea, ma purtroppo i Jihaidisti hanno preso il sopravvento e non sono più potuta ritornare. Di conseguenza mi hanno destinato provvisoriamente a Bondoukou al centro San Camillo che ospita malati mentali dove sono stata fino a luglio 2020. In questo centro posso dire di aver vissuto esperienze profondamente umane assieme ai malati; lì pregavamo il Dio Unico tutti assieme: cristiani, musulmani, buddisti, ancestrali. Poi il Vescovo di Bondoukou mi inviò alla Comunità di Tambi, a cinquanta chilometri da Bondoukou verso il Ghana,

fondata negli anni Ottanta dai padri della S.M.A. Non c’è ancora Parrocchia e si intravede la possibilità di crearla in futuro.

Nei circa trent’anni di vita in Africa per annunciare l’Amore di Dio in Gesù Cristo, vivendo, formando e seguendo le diverse Comunità, ho potuto imparare dalla gente molte cose che hanno arricchito profondamente la mia stessa umanità e spiritualità: il valore della persona umana nella sua unità corpo e spirito dove Dio è sempre al primo posto; il prezioso valore della Maternità; la celebrazione della morte vissuta nei funerali come feste di solidarietà e consolazione; i ritmi formidabili delle danze espressione di comunione e gioia; una grande tolleranza per le diversità etniche e religiose. Missione è anche Promozione umana e le priorità sempre rispettate sono state: iniziare scuole per i bimbi, alfabetizzazione per giovani e adulti, offrire formazione integrale alle donne, riunirle in cooperative o associazioni, istruirle in collaborazione con le autorità locali sulla prevenzione delle malattie, sulle possibilità di migliorare la coltivazione, portare l’acqua potabile dove non c’è, motivare le famiglie perché mandino i loro figli a scuola invece che occuparli sempre nei campi. C’è tanta voglia di imparare, di studiare. I ragazzi hanno una freschezza mentale ed una capacità di apprendimento eccezionale. Ho visto bambini che hanno fatto sei anni di scuola in tre anni ed ora sono fra i primi all’Università o sono diventati già professori, informatici, funzionari di banca, mentre altri sono missionari, sacerdoti, religiose o donne ben impegnate, commercianti, titolari d’imprese di trasporto. Grazie al loro impegno la Costa d’Avorio sta cambiando un po’ alla volta: anzi, direi che c’è una presa di coscienza sulla loro terra, piena di ricchezze, ma purtroppo oggetto di sfruttamento a favore di Paesi esterni. Ho visto sorgere, grazie alla sensibilità della gente del posto, associazioni allo scopo di aiutare chi vive nelle zone più disagiate del Paese e queste coinvolgono cristiani cattolici, evangelici, pentecostali, musulmani, animisti, uomini e donne di buona volontà. Queste iniziative partono dal sud del Paese, dove c’è più istruzione e una relativa maggior disponibilità economica.

Quindi tu sei ottimista sul futuro dell’Africa, o quanto meno di quella parte d’Africa che conosci e frequenti da trent’anni?

Certamente. Anzitutto c’è tanto desiderio di pace. Io mi sono trovata in mezzo a tre guerre in Costa d’Avorio, guerre di cui l’opinione pubblica occidentale nulla sapeva. Guerre –a mio avviso- provocate dall’esterno, non certo dal Popolo Ivoriano. La Provvidenza Divina e l’amore della gente, mi hanno sempre assistito. Ho sperimentato che anche in guerra dove si vive morte, distruzione, fame e malattie, il Bene e l’Amore resistono con tenacia e trionfano.

Ho una domanda molto personale, alla quale sei libera di rispondere o meno, anche se credo di avere già intuito la tua risposta: ritieni di aver rinunciato a qualcosa nella tua vita avendo fatto questa scelta di missionaria laica?

Certo che ho fatto rinunce! Ho rinunciato a farmi una mia famiglia, al lavoro, alla carriera lavorativa ed ai suoi vantaggi economici. Ma quali guadagni!! Guadagni non “calcolabili” perché vanno oltre i “mercati” e alle logiche umane!!

Volendo fare un bilancio fra le rinunce e quello che hai avuto in cambio?

Non ci penso neanche!

 Qui cita Matteo 19, 29: “Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”

 Ringrazio il Signore e tutte le persone coinvolte nella mia vita!

Queste ed altre storie ho potuto raccogliere nel corso di un lungo incontro con Annalisa, tanto che non è possibile riassumerle. Forse un libro potrebbe servire all’uopo, tanti sono gli episodi che hanno costellato la vita di Annalisa

Adesso vuole tornare in Africa, e non so se e quando potremo rivederci. La cifra delle sue scelte sta in una frase che mi dice quando le chiedo perché ha voluto intraprendere questa strada:

“L’Amore di Gesù mi ha sedotto e me ne sono innamorata! Il mio cuore era troppo in subbuglio. Spinta dall’amore di Gesù, che è Uomo e Dio, sono partita cercando di contribuire nel mio piccolo per far conoscere Lui, la Bellezza, la Bontà, l’Amicizia e la Misericordia di Dio. Sono convinta, infatti, che una volta accettata questa Conoscenza, tutti possono sperimentare la propria libertà liberata e proiettata nel Bene Assoluto che infonde forza, coraggio, desiderio di fare il bene ovunque e per tutti, sprigiona dinamicità, fantasia, crea benessere, fraternità e aiuto reciproco. In breve: ti fa realmente condividere l’Amore vero, puro, gratuito e fedele, anche se non mancano difficoltà e sofferenze. E dove si realizza ciò ho sperimentato una vita di comunione, di gioia e pace! Evviva la Vita!”